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Integrare i processi per ridurre il time to market nel retail

Che cos’è il time to market se non la misurazione del tempo e della qualità delle risposte che l’azienda dà alle esigenze espresse dal mercato? Visto in questi termini – ovvero non come una segmentazione di procedure e attività, ma come un unico parametro, migliorando il quale l’impresa riesce a guadagnare vantaggio competitivo – anche nel mondo retail il time to market può essere diminuito attraverso l’ottimizzazione di tutti i processi in un unico flusso. Perché è governando quel flusso, conoscendo a fondo come si sviluppano le attività in tutta la filiera ed integrandone gli stakeholder, che si abbattono i costi e si accrescono performance di business e soddisfazione dei clienti.

Permettere a tutte le piattaforme di dialogare con ciascun anello della catena

Belle parole, ma all’atto pratico cosa bisogna fare? Occorre prima di tutto installare dei connettori che mettano in comunicazione con i sistemi aziendali ciascun anello della catena, dal fornitore al cliente passando per tutti gli elementi intermedi disposti in parallelo sui diversi canali di vendita. Che si tratti di corner shop o negozi multimarca, o ancora di un’insegna vera e propria o di e-commerce, ogni punto di contatto con i clienti deve avere la facoltà di dialogare con la filiera in maniera continua e trasparente.

Questa necessità si unisce all’esigenza di soddisfare il cliente che si aspetta un’esperienza d’acquisto coerente e omogenea, a prescindere dal luogo – fisico o virtuale – in cui trova il prodotto. Solo se queste due istanze convergono, il time to market risulterà fluido.

Sono tipicamente l’ERP (Enterprise Resource Management), il CRM (Customer Relationship Management) e la BI (Business Intelligence) le piattaforme di base su cui vanno connessi tutti gli attori della filiera. Ciascuno al suo sistema, naturalmente, ma creando delle interconnessioni tra i database e le applicazioni in modo da consentire la condivisione e lo scambio dei dati utili a descrivere i vari processi e, in ultima istanza, con una visione d’insieme, il flusso del time to market. A questi sistemi tradizionali poi vengono in aiuto nuove tecnologie con l’Intelligenza Artificiale e l’IoT (Internet of Things), che consentono ancora meglio di ottimizzare la gestione delle informazioni ed automatizzare i processi di base più semplici e ripetitivi.

Individuare cause ed effetti per agire tempestivamente sulla filiera

Conoscere in tempo reale come si sta comportando, per esempio, la catena logistica per l’approvvigionamento dei prodotti o delle materie prime è indispensabile se si vogliono pianificare campagne di instant marketing capaci non solo di assecondare i trend di un determinato mercato, ma anche di rispondere con tempestività a bisogni espressi dai clienti in un dato momento e in un dato luogo. Quest’input, che può arrivare dall’analisi delle conversazioni e dei comportamenti su web e social network o anche direttamente dal negozio fisico, attraverso dati di vendita che evidenziano fenomeni da tenere d’occhio, trova riscontro nell’effettiva disponibilità di magazzino o nelle previsioni – accurate – sulla capacità della supply chain di rispettare le consegne.

Ma questa è semplicemente ordinaria amministrazione. Agire sul piano strategico vuol dire fare un passo in più: nel momento in cui raccoglie ed elabora i dati provenienti da tutte le fonti, il sistema di Business Intelligence è infatti in grado di individuare colli di bottiglia, potenziali criticità e soprattutto opportunità per velocizzare l’intera filiera, riconducendo cause ed effetti che a “occhio nudo” sarebbero impossibili da collegare. È sempre grazie all’integrazione dei processi con l’evoluzione del mercato e con i comportamenti dei consumatori che diventa possibile dare vita a simulazioni digitali, sia per mettere alla prova ipotesi di correzione della catena logistica o di procedure obsolete, sia specialmente per verificare l’impatto e la sostenibilità di nuovi modelli di business. Ancora una volta mettendo insieme causa ed effetto ogni volta che si decide di modificare un parametro. Insomma, un modo completamente nuovo di considerare, gestire e indirizzare il flusso del time to market.

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Retail e segmentazione clienti: conoscere i comportamenti dei clienti

L’omnicanalità è una vera e propria galassia di touch point. Per ottimizzarli è necessario conoscere comportamenti e preferenze di ciascun individuo. Ecco perché è fondamentale riconciliare tutte le informazioni che il Marketing ha a disposizione sul proprio target.

Che i clienti, a maggior ragione nel mondo del fashion, non siano tutti uguali è risaputo. Ma attenzione: non è affatto un assunto da dare per scontato, bensì una consapevolezza acquisita faticosamente dal Marketing in anni di evoluzione di strategie e approcci al mercato, soprattutto di segmentazione del target. Eppure, nonostante siamo tutti d’accordo nel dirlo, molti ancora non riescono a tradurre in pratica questo concetto. È chiaro: il fashion retail è dovuto scendere a molti compromessi per raggiungere una sostenibilità economica nei modelli di business; un servizio tailor made, nei confronti di ciascun consumatore, è stato per decenni semplicemente impensabile. Ora che però le tecnologie digitali permettono da una parte di personalizzare l’interazione con gli individui su tutti i canali e dall’altra di ottimizzare la catena logistica per dare vita a offerte in real time (o quasi), sfruttando stagionalità e trend che arrivano direttamente dalle passerelle, l’impensabile è diventato fattibile. E, di conseguenza, necessario, se si vuole sempre essere un passo avanti rispetto alla concorrenza e mantenere il vantaggio competitivo.

Dalla relazione al Customer Journey: comprendere le esigenze dei clienti per soddisfarle

La segmentazione è dunque più che mai importante. Definire le caratteristiche dei clienti già acquisiti, ma anche quelle dei visitatori anonimi (del sito Internet come dello store fisico), rappresenta infatti la premessa per la costruzione di una relazione duratura che possa gradualmente diventare la cornice di una serie di Customer Journey efficaci. Conoscere le persone significa comprenderne le esigenze, provare a soddisfarle quando e dove occorre davvero vuol dire conquistarsi la loro fedeltà. Dunque sì alla segmentazione, ma con una precisione: se fino a qualche anno fa si faceva affidamento sui cluster costruiti in base a parametri socio-economici e demografici, oggi la segmentazione esprime la massima efficacia nel momento in cui descrive interessi e soprattutto comportamenti. Meglio ancora se contestualizzati. Questo introduce un elemento di grande complessità nello svolgimento delle analisi e nella formulazione di ipotesi dei diversi profili. E implica un lavoro costante di aggiornamento dei metodi di raccolta delle informazioni, della loro classificazione e soprattutto dei database. Come far confluire i dati dai diversi touch point attivati? POS, carte fedeltà, visite sul sito Internet, acquisti tramite app, operazioni promozionali e partnership con altri brand: l’omnicanalità è una vera galassia di punti d’accesso all’offerta e ogni consumatore vi si avvicina a modo suo.

Conoscere il cliente permette di massimizzare il valore di ciascun touch point

Unificare la visione che si ha sul cliente, a prescindere dal modo in cui si avvicina a un touch point, vuol dire per l’appunto segmentare il mercato in base ai comportamenti, con l’obiettivo poi di riconciliare profili univoci che aiutino il Marketing a indirizzare con sempre maggiore precisione l’offerta, anche al variare di altri parametri. Il Customer Journey di una stessa persona cambia radicalmente a seconda che l’individuo sia spinto verso il brand perché in cerca di novità o allettato dai saldi; è fondamentale riuscire a prevedere, di volta in volta, il tipo di approccio valutando il modo in cui si sono svolte le interazioni passate.

Chief Marketing Officer e Sales Director, oggi, possono farlo attingendo alle risorse delle piattaforme analitiche che convogliano i dati generati dai touch point nei CRM, incrociando e integrando le informazioni per dare vita a segmenti e profili accurati. Automatizzando il sistema, diventa possibile creare un meccanismo di alert e notifiche con cui, in un’ottica di Unified Commerce, la piattaforma è in grado di riconoscere quando comincia un Customer Journey peculiare e di indirizzarlo in base al profilo dell’utente. Un modo completamente nuovo di gestire la macchina del Marketing, che demanda all’intelligenza artificiale il compito di seguire i clienti lungo i vari canali, lasciando alle risorse umane il ruolo più creativo e delicato: quello di costruire una relazione di fiducia.

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Team Marketing

Retail e Unified Commerce: come costruire la nuova esperienza d’acquisto

Si scrive customer journey, ma si legge soddisfazione del cliente. Sarà forse qui superfluo ricordare che un cliente soddisfatto è un cliente che ritorna e che la fidelizzazione è il primo obiettivo di qualsiasi retailer desideroso di massimizzare valore e vantaggio competitivo. Meglio però rimarcare il fatto che per soddisfare un cliente dobbiamo essere esattamente là dove vuole – o dove ha bisogno – che siamo. Che si tratti di trovare informazioni su un prodotto o un servizio, oppure di confrontare i prezzi migliori o ancora di acquistare ciò che cerca nel posto e nel momento giusto, tutto converge intorno a questa primaria esigenza dell’individuo. Un’esigenza ben chiara ai colossi dell’e-commerce, che riescono a sfruttare le enormi quantità di dati estratti dalle interazioni con ciascuno dei consumatori e che grazie a strategie di marketing personalizzato riescono sempre più a disintermediare i negozi tradizionali. Il retail forse non potrà competere sui grandi numeri, ma può senz’altro farlo, vincendo, sulla qualità del servizio e sulla conoscenza approfondita delle abitudini e delle preferenze dei propri clienti. Ed è qui che diventa davvero fondamentale l’espressione customer journey.

Solo gestendo in maniera unificata tutte le fonti di dati che descrivono il comportamento dei consumatori si può dare vita a una customer journey realmente appagante. Ecco perché abbattere le barriere tra fisico e digitale è indispensabile per vincere la sfida della soddisfazione del cliente.

Entrare nella dimensione dello Unified Commerce

Seguire il consumatore lungo tutto il percorso di avvicinamento all’acquisto vuol dire offrirgli l’opportunità di perfezionarlo come, quando e dove preferisce, ma anche allo stesso tempo acquisire i dati che ne descrivono il comportamento sui vari canali. L’obiettivo è studiare poi i dati attraverso piattaforme di Big Data analytics per estrarne informazioni di valore e costruire un’esperienza d’acquisto semplice e intuitiva, ma soprattutto contestualizzata e personalizzata, a prescindere dal touch point scelto dall’utente. Per arrivare a questo risultato è essenziale integrare tutti i canali di vendita, omogeneizzando le modalità di autenticazione, navigazione e pagamento in modo da identificare i clienti attraverso profili univoci, la cui accuratezza sia valida in negozio come nelle campagne promozionali avviate online o sulla mobile app. Si può a questo punto parlare di Unified Commerce, una dimensione che ingloba quella del classico e-commerce abbattendo le barriere tra fisico e digitale. Un passo necessario oggi, se per l’appunto si vuole rimanere sempre a fianco del cliente, ma indispensabile in prospettiva, visto che nel giro di pochi anni lo scenario tecnologico applicato al retail diventerà ancora più sofisticato, con la diffusione sistematica di soluzioni di realtà virtuale e aumentata oltre che di bot alimentati da piattaforme di intelligenza artificiale.

Un’evoluzione a tutto tondo imprescindibile per affrontare (anche) il domani

Sia ben chiaro: non si tratta di preparare il terreno al domani che verrà. Già oggi innovazioni del genere sono state introdotte dai retailer più lungimiranti e disposti alla sperimentazione e stanno ottenendo diversi riscontri, in termini di brand awareness, di aumento di visite, sia nei negozi sia sulla parte on line e quindi di conversioni. Il loro successo non poggia tanto sulla capacità di stupire il pubblico offrendo un’esperienza suggestiva, quanto proprio sul lavoro pregresso di unificazione e integrazione dei canali di vendita e soprattutto delle fonti di dati. A una trasformazione che riguarda essenzialmente il front-end e tutti i sistemi informativi che mettono in comunicazione i vari elementi della filiera, deve in ogni caso corrispondere anche un’evoluzione della catena logistica. Lac ha bisogno di evolversi secondo la logica del just in time, svincolandosi dai meccanismi tradizionali di gestione del magazzino e migrando verso modelli più flessibili di fornitura, sulla scia di quanto appreso attraverso l’esplosione dell’e-commerce. Una transizione non semplice, siamo d’accordo. In questo senso, l’apporto di partner specializzati nello sviluppo e nell’implementazione di soluzioni digitali ad hoc è fondamentale. Non solo per identificare sul mercato tra le tecnologie consolidate quelle migliori per affrontare il cambiamento, ma anche – là dove possibile – per anticiparlo, adottando tecnologie di frontiera e guadagnando vantaggio competitivo sulla concorrenza. Basti pensare alla possibilità di automatizzare, rendendoli trasparenti e immediati, i processi approvativi dell’intera filiera. Una prerogativa della Blockchain, che per molti operatori è ancora sinonimo di futuro. Ma che non può non essere presa in considerazione da tutti coloro che vogliono innovare e dare vita oggi a un vero Unified Commerce.

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Team Marketing

AI e Moda

Moda e tecnologia non sempre appaiono correlate ma l’intelligenza artificiale sta permeando molti settori e le tendenze della moda non rimarranno immuni dai suoi effetti. Ecco perché l’intelligenza artificiale
(AI) non determinerà solo quello che acquisterete ma forse selezionerà anche quello che sceglierete dal vostro guardaroba.

Come l’AI potrebbe influenzare i futuri trend della moda

Non dobbiamo pensare all’AI solo come Intelligenza artificiale ma in termini di intelligenza “aumentata” in quanto essa può estendere il pensiero umano e la capacità creativa ed automatizzare ad esempio il riconoscimento automatico di mode, stili e tendenze mondane attraverso l’analisi di post ed articoli. La questione più appropriata diviene quindi non se l’AI possa prendere il posto dei nuovi designer ma in che aspetti li possa supportare ad essere più creativi grazie alle proprie capacità di analisi ed osservazione.

Questo ci porta quindi a pensare all’AI come uno strumento prima di tutto di aiuto su come fornire alle persone conoscenze e intuizioni che consentano loro di lavorare in modo più efficace o efficiente; per aiutarle a concentrarsi sul raggiungimento di un risultato e non sull’elenco delle attività; per lasciare il banale ad uno strumento tecnologico che eccelle nel banale e per amplificare quindi l’abilità cognitiva umana, sfruttando (aumentando) l’intelligenza con l’aiuto delle macchine, degli algoritmi e della potenza di elaborazione: questa è la vera missione dell’AI nel nostro millennio e da qui può partire una nuova rivoluzione per tutti i settori.

Custom Fit AI

In uno scenario in cui il cliente è al centro della strategia di ingaggio e dove l’estrema personalizzazione delle proposte è sempre più spinta grazie ad innovativi algoritmi in grado di creare campagne ad hoc, l’AI potrebbe offrire anche un valido supporto nel migliorare notevolmente le tecniche di analisi e definizione delle preferenze cambiando anche parte del retail. Il cliente infatti potrebbe andare in un negozio online e trovare i propri articoli preferiti sulla base delle esperienze di acquisto ed anche alcuni nuovi disegnati o personalizzati apposta per lui.

I disegni auto-generati potrebbero anche giocare un altro ruolo: la creatività dei designer continuerebbe ad essere il motore principale per il disegno delle nuove collezioni ma le proposte generate dall’intelligenza artificiale potrebbero coprire il gap tra la moda quotidiana ed i pezzi da sfilata attraverso la creazione di pezzi unici, personalizzati per il singolo cliente e derivati dai principali trends visti in sfilata, ma a prezzi molto più abbordabili.

Questo potrebbe anche aiutare i retailers a capire meglio i propri clienti e migliorare la qualità delle loro offerte rendendole flessibili e personalizzate su cluster sempre più ridotti.

Predictive Fashion

Con l’utilizzo di questo approccio supportato dall’AI, gli stilisti e le case di moda potrebbero cominciare a concepire le loro collezioni in un modo nuovo.

I retailer della moda conoscono il valore dei loro follower e rimanere sempre di tendenza non è semplice: l’intelligenza artificiale è in grado di analizzare molteplici settori e gruppi di consumatori, consentendogli di trasformare velocemente le proprie collezioni.

Il vantaggio dell’AI è che il sistema impara da solo e compie attività sempre più precise e puntali all’aumentare dei dati disponibili e della potenza di calcolo. I nuovi algoritmi si adattano e spingono l’intelligenza artificiale sempre più su terreni che prima erano presidio esclusivo degli esseri umani.

Aumentare produttività e creatività

Possiamo ritrovare i benefici dell’introduzione di modelli di AI nei processi del settore della moda in ogni singolo stadio della supply chain: aumento della velocità di esecuzione, minori costi di gestione e maggior flessibilità. l’Intelligenza Artificiale ha infatti il potenziale di guidare miglioramenti in aree come il forecasting, la pianificazione, il merchandising fino ad automazione e logistica. I consumatori ne beneficeranno godendosi prodotti con migliorata disponibilità e tempi di realizzazioni inferiori.

Può anche migliorare la creatività in quanto i leader dell’industria della moda stanno già utilizzandola per aumentare le capacità nel generare nuove combinazioni di stili per i propri prodotti basandosi su trend e su quello che i clienti dimostrano di preferire.

Se prendiamo ad esempio Amazon è sul punto di lanciare il primo servizio di preferenze di abbigliamento supportato da AI e per merito di questo algoritmo sarà in grado di analizzare immagine e replicare gli stili più popolari ed applicarli ai gusti personali di ogni singolo cliente.

Ma non è l’unico esempio perché molti stilisti ne stanno già integrando l’uso fin dalla creazione dei propri campionari e collezioni.

Collegare i clienti ed i bisogni

Ci sono già moltissimi esempi di applicazioni di AI nell’industria della moda e senza dubbio questa tecnologia ha il potere di ridisegnare il modo in cui il settore ingaggerà ed interagirà con i propri clienti.

I leader digitali del settore stanno già facendo progressi, assicurando una maggiore conoscenza dei clienti dai loro ricchi set di dati e perseguendo opportunità come raccomandazioni sui prodotti, prezzi dinamici ed una migliore gestione delle relazioni con i clienti. Su quest’ultimo ambito, Tommy Hilfiger ha creato ad esempio una chatbot per interagire con i potenziali clienti. Il bot, un programma per computer automatizzato che gestisce le conversazioni con persone vive basate su suggerimenti forniti basati sulle loro domande, offre risposte e contenuti su misura per i loro interessi.

Ma il potenziale dell’IA non si limita a trasformare l’esperienza del cliente online: la tecnologia può alimentare un coinvolgimento migliore anche nel negozio fisico. Alcune aziende della moda utilizzano sensori che forniscono dati ai loro strumenti di intelligenza artificiale tramite l’Internet of Things, consentendo loro di capire come migliorare l’esperienza in negozio.

Farfetch è un buon esempio di ciò che è possibile fare se consideriamo quanto ha di recente inserito nel suo concept di negozio del futuro: ha attivato infatti strumenti come il riconoscimento automatico dei clienti quando l’acquirente entra nel negozio, accessi ai camerini per i clienti abilitati alla tecnologia RFID per aumentare la gestione dell’inventario e supportare gli acquisti ed i mirror digitali che consentono ai clienti di confrontare combinazioni di diverse dimensioni, colori e stili. Utilizzando l’intelligenza artificiale, l’azienda è stata in grado di integrare molte delle esperienze offerte di routine ai clienti online anche quando sono effettivamente nel negozio fisico.

L’intelligenza artificiale può anche svolgere un ruolo chiave nell’assicurare ai rivenditori di disporre di riserve sufficienti degli articoli più richiesti creando un corretto bilanciamento nei canali. Gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale per la previsione della domanda stanno facendo notevoli progressi in un aspetto molto critico per l’industria della moda che è quello di avere il prodotto giusto, nel negozio o canale più vicino al cliente al momento in cui lo stesso è più disposto a fare l’acquisto. Nei casi migliori, tali strumenti consentono ai rivenditori di ridurre gli errori di previsione fino al 50%, riducendo allo stesso tempo l’inventario dal 20% al 50%.

In conclusione: l’AI come imperativo dell’evoluzione

Con così tanti casi d’uso, le aziende della moda potrebbero aver bisogno di pensare alle loro priorità per l’intelligenza artificiale, concentrandosi sulle aree con il maggior potenziale di valore aggiunto data la loro strategia aziendale individuale. Con alcune ricerche che suggeriscono che l’intelligenza artificiale potrebbe sostituire fino al 30 percento del lavoro svolto dai fashion designer, in che modo le aziende gestiranno la loro forza lavoro e introdurranno nuovi strumenti senza alienare i dipendenti?

Il segreto sarà quello di sfruttare un valore che ha guidato ha lungo il successo nel settore della moda: la collaborazione. In pratica, gli strumenti di intelligenza artificiale sono in grado di supportare ed automatizzare gran parte del lavoro attualmente svolto dai stilisti, piuttosto che sostituirne completamente le creatività. E mentre alcuni compiti potrebbero scomparire, l’AI creerà anche nuove opportunità.

È possibile quindi prevedere il futuro della moda e quello che si affaccia con l’avvento dell’AI? La maggior parte dei film di fantascienza rappresentano un futuro della moda in cui l’umanità è vestita con costumi intelligenti, infusi dalla tecnologia, che quasi sempre danno a chi lo indossa una sorta di superpotere… potrebbe essere questo uno dei possibili futuri?

Un altro scenario è un futuro della moda non più afflitto dalla crudeltà sugli animali, dalla schiavitù moderna legata alla tecnologia, dall’esaurimento delle risorse e dall’inquinamento globale, dove l’unica minaccia alla nostra esistenza è una civiltà aliena malevola, mentre il resto del genere umano è riuscito a ritrovare un equilibrio tra tecnologia, ecologia e co-esistenza sul pianeta di tutte le specie.

Se tuttavia dobbiamo pensare a qualcosa di certo che sicuramente non cambierà mai, questa è la nostra natura umana: siamo permeati da insaziabile desiderio di segnalare lo stato, di mostrare “chi siamo”, distinguerci da tutti… e questo accade ancora oggi dopo milioni di anni di evoluzione.

Ecco perché prevedere il futuro della moda non è così semplice. La moda riguarda le persone e i loro pari, i costrutti sociali, la dimostrazione di chi siamo. La moda non riguarda gli ultimi progressi tecnologici, anche se questi la possono aiutare ad evolversi più velocemente… e poiché la nostra percezione del lusso è costruita sul patrimonio, sull’artigianato e sull’alta qualità, cosa succederà quando i robot sostituiranno gli artigiani e i paesi si dissolveranno in un paese senza confini globale?

In questo contesto, potrebbe quindi l’AI diventare il nuovo stilista del futuro?

Negli ultimi dieci anni, il mondo della moda è stato ridisegnato dalla rivoluzione digitale, per sostituire le pratiche centenarie con le meraviglie tecnologiche, i centri commerciali di moda con i colossi dell’e-commerce e i materiali tradizionali con alternative sostenibili innovative. L’aspetto della moda digitale è stato in qualche modo previsto da siti di incontri di avatar come “Second Life” e più recentemente dalla scena dei giochi online. Entrambe le comunità stanno spendendo miliardi di dollari per la moda e gli accessori che… non esistono!

Matthew Drinkwater, responsabile della Fashion Innovation Agency, è fermamente convinto in un futuro in cui il regno fisico sarà intriso di contenuti digitali, e prevede un domani in cui i consumatori saranno in grado di sovrapporre elementi digitali ai loro corpi e all’abbigliamento del mondo reale… in poche parole se possono convergere il negozio online e quello fisico, perché non dovrebbero farlo i consumatori ed i loro prodotti?

Una riflessione sull’etica

L’intelligenza Artificiale ha il grosso limite di essere ancora un sistema che apprende e recepisce il suo sviluppo dall’impronta umana. Se pensiamo di istruire un sistema a generare disegni e supportare gli stilisti nella creazione di nuove collezioni, appare importante anche considerare chi e come istruirà l’AI e che tipo di pregiudizi possa avere perché questo può influenzare le scelte dell’algoritmo ed i suoi risultati.

Avere un approccio etico ed inclusivo sarà parte della definizione delle regole di base per avere una vera AI in grado di supportare gli stilisti in tutto il mondo nel creare nuovi capi e collezioni declinate per i diversi paesi nel rispetto dei loro usi e preferenze locali.

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Team Marketing

Chi lavora nel Marketing sa bene cosa significhi conferire valore ad un brand ed accrescerlo nel tempo. Ma spesso mi chiedo se tutti perfettamente sappiamo cosa voglia dire massimizzare il valore di una marca nell’era dell’omnichannel. La faccenda è complessa perché, a fronte di modi completamente diversi di incontrare e soddisfare le aspettative del consumatore, la brand equity deve rimanere la stessa, mettendo in luce le proprie caratteristiche rispetto alla concorrenza su ciascuno dei canali a disposizione. E spesso, diciamoci la verità, non abbiamo piena visibilità su questi canali, né siamo del tutto consapevoli di come ciascuno funzioni in termini di usabilità e performance. Dal negozio fisico inserito in una catena di proprietà, al corner di uno store multimarca, passando per il portale e-commerce (anche qui: aziendale, di un merchant terze parti o sul marketplace di un social network, via Web o su mobile?), di touch point in touch point le esperienze cambiano drasticamente e così le percezioni del nostro brand.

Siamo d’accordo: non è affatto semplice monitorare una customer journey che si fa sempre più frammentata. Ma un metodo esiste. Personalmente, penso che per far sì che un cliente abbia una visione unificata del brand occorre, prima di tutto, che questo sviluppi una visione unificata del cliente. Esatto, prendendolo in considerazione come un singolo individuo, a prescindere dal modo e dal luogo in cui viene ingaggiato. Solo così, conoscendolo in tutti i suoi aspetti, un retailer può offrirgli su ciascun canale l’esperienza migliore rispetto alle sue aspettative. Mettere in pratica un approccio del genere significa, in altre parole, passare da una logica di Omnicanalità a una di Unified Commerce.

Identificare il nostro interlocutore: il nuovo ruolo del CRM

Come si fa a sviluppare una conoscenza a 360° di ciascuno dei nostri interlocutori? Disseminando, nei touch point, sensori e ricettori che ci permettano di raccogliere i dati generati dalle varie interazioni, su tutti i canali. Anche quelli basati sugli strumenti più innovativi, che sfruttano per esempio soluzioni Internet of Things. Starà poi ai sistemi analitici raccordare le informazioni e mettere in evidenza ricorrenze, eccezioni e rapporti di consequenzialità tra stimolo e azione. L’impresa naturalmente si fa più semplice nel momento in cui, accedendo ai nostri sistemi o entrando nei nostri negozi, il cliente si fa riconoscere attraverso, per esempio, credenziali e iscrizioni a programmi di loyalty. Ma oggi, grazie a modelli analitici sempre più avanzati, capaci di riconciliare profili anonimi, possiamo ricostruire con una certa accuratezza anche il comportamento di utenti sconosciuti, marcandoli in maniera univoca e, ancora una volta, comprendendone i bisogni. Il CRM, infatti, non è più uno strumento passivo per la raccolta di dati anagrafici e record delle interazioni tra azienda e clienti: grazie all’integrazione con le piattaforme di Business Intelligence e di Machine Learning, le sue funzionalità possono essere estese, rendendolo il cuore di tutte le strategie di avvicinamento e ingaggio dei clienti. Promozioni, programmi fedeltà, campagne sui social network, sconti in negozio e couponistica online: tutto diventa, per il CRM moderno, un pretesto per accrescere la conoscenza del cliente e confrontarne i vari segmenti di appartenenza con le effettive azioni in risposta a ciascun tipo di profilo ed attività.

PRIME365 Fashion and Retail, una soluzione a tutto tondo per generare nuovo valore per il brand

Questa è la teoria. Ma la pratica? Come si fa a presidiare l’intera filiera e a gestire una tale mole di dati per riconciliare profili e comportamenti? E soprattutto, come si fa a tradurre questo patrimonio informativo in valore per il brand, attivando quindi le iniziative di Marketing al momento giusto, nel luogo giusto e specialmente nei confronti dell’individuo giusto?

Var Group propone, al mondo del retailPRIME365 Fashion and Retail: una suite integrata che offre una serie di strumenti in grado di coprire ogni aspetto dello Unified Commerce, trasformando il Customer Relationship Management in un punto di raccordo per tutti gli input e gli output generati dalle interazioni con i clienti. Che il touch point sia un social network, una app, l’e-commerce od il POS installato in negozio, PRIME365 Fashion and Retail garantisce la massima flessibilità ed affidabilità nel riconoscimento delle audience e nell’attivazione automatica di azioni personalizzate, in linea con le aspettative dell’utente ed in real time. E se non è valore questo…

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